Quando affermo che la perfezione esiste non sto pensando ad adoni greci o inneggiando ad aspetti religiosi e mistici. La perfezione esiste, nella mente di chi percepisce e agisce sulla realtà, utilizzando una modalità specifica: il perfezionismo.
E’ stato sbalorditivo per me, scoprire che l’etimologia romana della parola perfezione ha a che fare con ciò che viene compiuto, ciò che si porta a termine.
Tutto il contrario di quello che succede a chi tende al perfezionismo.
Ma prima di addentrarci nelle trappole che si celano nella tendenza alla perfezione, facciamo un breve identikit del perfezionista.
Ti faccio un esempio.
Se hai avuto il piacere di seguire le imprese di Harry Potter – e di diventarne fan, come la sottoscritta-non ti sarà di certo sfuggita la figura di Dolores Umbridge, l’austera sotto segretario anziano del ministero della magia che malauguratamente finisce a Hogwards come insegnante di difesa delle arti oscure.
Ecco questa piccola donna sempre vestita di rosa confetto ha fatto del controllo di sé e degli altri, una missione di vita. E ne è rimasta travolta.
In maniera generale possiamo attribuire al perfetto perfezionista -bel gioco di parole 😊- quattro caratteristiche chiave, che hanno a che fare con la qualità più emergente di questo nucleo personologico: la necessità di tenere tutto sotto controllo.
È abile nel pensiero analitico
Questo vuol dire che nel dettaglio, non sfugge niente. Fa più fatica ad attuare una visione generale. Questa tendenza verso il particolare, se da un lato permette lavori certosini, dall’altro, se irrigidita, non permette di avere il quadro completo della situazione.
E’ un grande sgobbone
Si dà parecchio da fare sia nel lavoro che in famiglia, perché si sa, più gestisce e risolve le questioni quotidiane in prima persona, più le farà come dice lui, cioè in maniera perfetta. Per questo le parole delega, chiedere aiuto, non fanno parte del suo vocabolario.
È amichevole con tanti, è amico di pochi
In ambito relazionale il controllo viene espresso attraverso una stretta selezione amicale. Qui come nel lavoro e in famiglia, ci si fida e affida a pochi. E quei pochi non avranno vita facile.
E’ perennemente insoddisfatto
Il tentativo di raggiungere l’ambita meta di perfezione, lo spinge continuamente a schiantarsi contro il muro dell’inadeguatezza e nelle situazioni più gravi, della disperazione.
D’altronde, come ci si può sentire soddisfatti, appagati, adeguati, se ci si pone un traguardo irraggiungibile?
E’ il migliore amico dell’insicurezza
La cosa non dovrebbe stupirti. Più cerchi di fare tutto in maniera perfetta, più il tuo passatempo quotidiano sarà lo slalon agli errori. Così la tua mente sarà subissata da continui dubbi e ripensamenti, piuttosto che essere orientata al fare. E lo avrai sperimentato: più ti sottrai alle sfide della vita, più alimenterai il tuo senso di insicurezza.
Facciamo una piccola pausa.
Fino a qui tutto bene? Ti sei già ritrovato in una – o più- delle caratteristiche descritte?
Se fosse così, niente paura. La voglia di fare le cose al meglio, è una qualità. Sempre, senza esagerare.
Entriamo nel vivo della tematica.
Basandoci su queste quattro caratteristiche, la perfezione esiste. O meglio la persona le utilizza perché tutto ciò che fa nella sua vita possa essere perfetto.
E questa è la prima grande illusione con la quale deve fare i conti.
Purtroppo o per fortuna chi passa le sue giornate rincorrendo la perfezione in tutto ciò che fa, non può che andare incontro ad eterna insoddisfazione.
Il nocciolo della questione può sembrare banale, ma per il perfezionista non lo è.
La perfezione non esiste, o almeno non è di questo mondo. Ciò che esiste e che fa anelare tutti i giorni verso la possibilità di realizzarla, è la sua credenza.
Da qui si spiega bene la visione dell’inferno per i greci, ovvero il mito di Sisifo.
condannato per l’eternità a spingere un macigno su di una montagna, per poi vederlo rotolare giù e ricominciare da capo.
Intrappolato in questo viaggio senza fine.
Ecco.
Il perfezionista è caduto nella sua stessa trappola.
Le tue aspettative di perfezione ti fanno procrastinare, nell’attesa del
momento perfetto,
l’amore perfetto,
il lavoro perfetto,
il figlio perfetto,
la famiglia perfetta.
(puoi aggiungere quello che vorresti fosse perfetto).
La lista è infinita.
Insomma, una vita perfetta che non arriverà mai. O almeno non con l’immagine paradisiaca che hai stampata in mente. E non pioverà dal cielo.
Ma hai vinto qualcosa.
In compenso ti troverai spesso a rinunciare, a evitare, a rimandare.
Mi viene spontaneo chiederti: pensi ancora che la perfezione come obiettivo sia sostenibile?
per te è più importante rincorrere il fantasma frustrato della perfezione o scendere a compromessi con una vita perfettibile e potenzialmente soddisfacente?
Teniamo queste domande in caldo.
Ho una buona notizia.
Due studiosi P. Hewitt e G. Flett sono riusciti a sviluppare alcuni costrutti per misurare il perfezionismo. Grazie alle loro ricerche è stato possibile distinguerne tre tipi:
Perfezionismo autodiretto
E’ legato esclusivamente a te stesso e a come ti percepisci.
Il pensiero relativo è “voglio essere il più perfetto possibile”
Perfezionismo socialmente imposto
Entrano in gioco gli altri e la tua percezione di come ti senti in relazione con loro.
Il pensiero relativo è “sento che gli altri pretendono troppo da me”
Perfezionismo eterodiretto
E’ il tipo di perfezionismo centrato sulla relazione io-altro. Il pensiero relativo è “se chiedo qualcosa a qualcuno mi aspetto che sia fatto alla perfezione”
Fermiamoci un momento.
Quante spunte hai messo accanto alle modalità descritte?
Anche qui, le informazioni e i dati vanno sempre presi con cautela. Non sono una fan della lettura “ho tutto” versus “non ho niente”. Parliamo di sistemi complessi, gli uomini. Teniamolo a mente.
Ma allora il perfezionismo è tutto da buttare via?
Come per ogni cosa, ci sono gli aspetti funzionali e quelli disfunzionali.
Ti faccio un esempio.
Fra poco comincia una nuova edizione di Masterchef – non vedo l’ora- e come ogni anno tutti i concorrenti temono una giornata in particolare: la sfida di pasticceria.
Quello che i giudici ripetono ogni volta è che la pasticceria è precisione. Quasi oserei dire perfezione.
Un bravo pasticcere ha necessità di dover gestire le quantità e le misure in maniera meticolosa. Per lui la tendenza alla perfezione è una qualità importante per creare dolci meravigliosamente equilibrati e gustosi.
Così è per tante altre professioni e professionisti. Non escluderei la mia.
La differenza fondamentale sta nel pensare alla perfezione come obiettivo da realizzare o come tendenza alla quale ispirarsi. Questa è una possibile linea di demarcazione fra chi diviene prigioniero del perfezionismo e chi lo sfrutta a suo vantaggio.
Cosa possiamo fare per gestirlo?
Una frase estrapolata dal libro di Roberta Milanese “L’ingannevole paura di non essere all’altezza” – che è uno dei miei best seller – , mi ha colpito: la perfezione è nemica dell’eccellenza. C’è bisogno di questo cambio di mind set per ridare il necessario valore evolutivo ai tentativi e agli inciampi.
Ogni volta che ci provi, stai definendo chi sei.
Ogni volta che sbagli, stai imparando qualcosa.
Così stai costruendo la strada per l’eccellenza.
Concretamente.
Una strategia che ti propongo, e che presento spesso ai miei clienti che intendono diventare dei perfezionisti imperfetti, è una tecnica di terapia breve strategica, elaborata all’interno del lavoro terapeutico di Giorgio Nardone.
L’idea è quella di trovare quotidianamente una piccola imperfezione che ti protegge dall’illusoria e assoluta perfezione.
Tutto qui?
Questo è un contributo per cominciare a innescare un cambiamento.
Ovviamente è espresso in termini generici. Sarei lieta, nel caso, di poterlo personalizzare.
Un suggerimento: se dovessi sentire che sei diventato schiavo del perfezionismo tanto da averne la vita invalidata, rivolgiti ad un professionista.
Ti saluto con un post it.
Adotta un pensiero flessibile e riuscirai ad ispirarti alla perfetta imperfezione con successo;
adotta un pensiero rigido e riuscirai a costruirti una perfetta gabbia dorata con successo.
A te la responsabilità della scelta.
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